lunedì 30 novembre 2009
Ci salverà il soldato che non la vorrà...
http://www.youtube.com/watch?v=XyPDCkNNKao
Piccolissima traccia
Domenica ero in una cascina sperduta vagamente vicino a Chieri a recitare con i Sensi InVersi e dopo di noi si è esibita una compagnia in uno spettacolo di danza afro.
Eccola qui, la traccia che mi è rimasta nel cuore: la compagnia che ha danzato (mi pare si chiami Viaggi fuori dai Paraggi ma non sono sicura) è formata per la maggior parte da ragazzi affetti da sindrome di down, teneri, sorridenti e allegramente goffi e scoordinati nei movimenti. Fino a quando non c'è musica.
Ma poi la musica parte e il gruppo diventa un solo corpo che si muove all'unisono con un'armonia davvero rara. E poi passaggi, scene di caccia, di guerra, di corteggiamento, di festa. Non riesco a descrivere come l'iniziale goffaggine, pur rimanendo tale, diventava dolcezza di movimenti, unione, comunicazione di emozioni, sentimenti, forza. Sembrava che tutta la cascina vibrasse con la loro danza: ognuno di noi ha combattuto, è andato a caccia, ha avuto paura e si è innamorato insieme a loro! Ci hanno fatto vivere la storia che ci hanno raccontato, pur non usando una parola.
Erano pieni di energia e ce l'hanno trasmesso: ci credevano pienamente nella loro danza e si è sentito.
E' stato bello e sono loro grata. Tutto qui: volevo condividerlo con voi.
venerdì 27 novembre 2009
Viaggi ed incontri... che hanno lasciato Tracce!
La colonna sonora è la canzone "La strada" dei Modena City Ramblers...
lunedì 23 novembre 2009
Lettera da Sarajevo
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Sarajevo, 29 agosto 1999
Ho appena smesso di piangere…
...come sono stata male! Mai come in questo momento e così a fondo.
Qui a Sarajevo ci hanno fatto vedere un video di presentazione dell’Associazione Sprofondo per cui facciamo il campo questa settimana. C’erano parecchie scene della vita in città durante la guerra, durante i bombardamenti… gente che piangeva, che correva per sfuggire ai cecchini… scene che avrò visto un centinaio di volte in TV in Italia e già allora stavo male. Ma stasera l’ho visto con occhi diversi… gli occhi di chi ha degli amici che hanno passato tutto questo! Al posto delle facce degli uomini, delle donne e dei bambini sarajeviti, vedevo quelli di Refik, Kudus, Emina e di tutti quelli che ho conosciuto in questo mese. Mi è preso un nodo alla gola tremendo… avrei dovuto sentirlo già prima, ma è vero che fin quando non tocchi con mano, non riesci a capire… io l’ho appena SFIORATO e già mi fa così male! Cosa avranno provato loro? Mi sento così lontana… Gli altri, ancora estranei del tutto alla realtà bosniaca, ridevano distratti da un cagnolino mascotte dell’Associazione ed io mi chiedevo: “MA COME FANNO?”.
Ho rivisto gli occhi pieni di lacrime della mamma di Nino…
Ho rivisto gli occhi di Refik quando eravamo nella parte serba di Sarajevo e si parlava della presenza probabile di mine… erano SPAVENTATI!
Ho anche pensato a tutti quelli che a causa della guerra, d’un tratto (il tempo dello scoppio di una granata), si sono ritrovati nulla tenenti se non della loro tristezza e del loro orrore.
Forse sono tragica, drammatica… boh… spero di non sembrarti sciocca, ma è così che mi sento. Avevo già intenzione di scriverti questa settimana, ma speravo di scriverti quattro cazzate… quelle che sparo solitamente, ed invece… che disastro! Mi rifarò… ma adesso la mia preoccupazione è: DIMENTICHERO’?? Non voglio!
E’ vero, non è giusto essere sempre tristi, né nei confronti miei, né nei confronti delle vittime della guerra… ma non so…… smetto… non so più andare avanti, è difficile spiegare! Scusa lo sfogo, ma so che tu mi puoi capire, i ragazzi che sono qui sono forse ancora lontani o comunque non me la sento di parlargliene, non ora!
…a presto…
LA STRADA E I SUOI RUMORI . . .

sabato 21 novembre 2009
"LA STRADA E I SUOI RUMORI MI HANNO INSEGNATO IL PASSARE DEL TEMPO, FORSE ADDIRITTURA UN PO’ DI STORIA, INFATTI MI RICORDO DI QUANDO...
Il rumore del tram che attraversava il grande viale centrale della città accompagnava i miei passi. Questo tram era fantastico, ogni volta che passava sentivo il rumore dei decenni di servizio e mi chiedevo cosa lo potesse tenere insieme. Era veramente sgangherato. Ma andava bene. funzionava bene ed era sempre carico di gente. Andava cosi bene che divenne il mio mezzo di trasporto preferito.
Calata nella realtà quotidiana della città, osservavo la folla, i luoghi, le strade e cercavo la forza di ricordare e di immaginare che cosa fosse successo in questi posti. Come potevano essere più belli prima della guerra o di come potevano essere orrendi durante l'assedio. Mentre camminavo verso il centro o sul mio tram numero tre, pensavo come potevano aver vissuto le persone in quella città sotto i tiri dei cecchini per quattro anni, senza elettricità, acqua corrente, senza libertà e senza sapere se in quello stesso momento sarebbe stato il momento del fatidico incontro finale con la pallottola della loro vita.
Più cercavo nella mia memoria più il mio disagio aumentava perché di quel periodo di Sarajevo (1992-1995) mi ricordavo poco o nulla. Come si fa a immaginare cosa è successo tra queste case? Sparare nelle strade? E io dov'ero, come mai non mi ricordo nulla, non ne parlavano alla tele? Dove vivevo beatamente in quei quattro anni di assedio? Ma come hanno potuto resistere cosi tanto? Ricordo che si diceva che sparavano dalle colline... ma io non vedo colline, queste sono montagne! Come avrei potuto vivere la stessa cosa, se fosse successa a torino? Come siamo inconsapevoli dalle nostre case degli orrori che succedono fuori...
Ci sono delle zone bianche sulle montagne di Sarajevo che si distinguono chiaramente anche da lontano. Sono cimiteri, si vedono da tutta la città. Immensi, fittissimi cimiteri separati per religione ed etnia, ordinati, precisi, almeno in quello hanno trovato accordo, anche se, alla fine, sono andati tutti nella terra.
Tornando a casa mi sono resa conto di quanto siamo fortunati a non aver mai visto la guerra nel posto in cui viviamo. Non so come dire quanto sia brutta la guerra. La costante sensazione di avere la tua vita, il tuo mondo e tutto il resto appesa ad un filo sottile, molto più sottile di qualsiasi altro filo. Non è un luogo comune... penso che chi ha vissuto una guerra non la dimentica per tutta la vita e chi ha il coraggio di fare una guerra è perché non ne ha mai vista una o perché non sa che cosa stupenda e meravigliosa sia la pace.
Sarajevo, BIH, 2 Ottobre 2009.
viaggio attraverso strade interiori
Questo pensiero mi dà da riflettere... Quanto può differire il modo di percepire ciò che ci circonda? Da cosa può dipendere questa differenza? Può l' ambiente in cui viviamo avere un' influenza tanto rilevante in ciascuno di noi?
Oggi la strada mi appare diversa: più illuminata, più curata, più trafficata, intorno un'aria sicuramente più inquinata, ovunque tracce lasciate dall' uomo; i rumori sono più vivaci, assordanti a volte, anche durante le ore serali.
E allora mi viene da chiedermi... Forse che che insieme alla percezione della strada è cambiato qualcosa anche dentro di me???
Incontri
2 marzo 2006, via Garibaldi - Russia
È il mio compleanno e svolgo Servizio Civile al Centro Studi Sereno Regis, un posto sconosciuto che si affaccia sulla via più camminata di Torino e che sventola in faccia ai passanti due coloratissime bandiere della Pace e una bianca del Movimento Non-violento, che la pace non la urla solo ma la costruisce giorno per giorno.
Compio 21 anni e sono la più piccola al CSSR. Nella mia aria c’è calore e una lieve sensazione di stress che serve a conciliare lavoro, esami, famiglia che trasloca, amori vecchi che ti salutano e amori nuovi che nascono, idee, progetti.
È quasi ora di pranzo, stiamo finendo di lavorare e tra poco ci metteremo a tavola, come tutti i giorni. Ciò che rende questo posto caldo come una famiglia è la cucina: cucinare e mangiare insieme crea legami come di sangue, legami di stomaco e lo stomaco è vicinissimo al cuore. Secondo me il fuoco ha rivoluzionato la storia dell’uomo non tanto perché riscaldava i corpi e teneva lontani gli animali, ma perché costringeva le persone a mangiare strette, riscaldando i lembi di carne sulla stessa fiamma, masticando vicini l’uno al ritmo delle mascelle dell’altro.
Dalla finestra entra una musica, una musica simpatica, viva, ricca. Ci affacciamo. Un uomo sulla cinquantina con la pelle chiara e gli occhi azzurri, vestito da cow-boy, suona almeno cinque strumenti contemporaneamente e intanto fa ballare Antonio, la sua marionetta, vestita come lui. Scendiamo e lo ascoltiamo. È bella l’arte di strada, non chiede nulla e tutto offre e intanto fa sorridere Torino, che diventa un po’ meno sabauda e un po’ più parigina, in questo 2006 di olimpiadi che la vorrebbe internazionale e invece continua a macchiarsi di cantilene al sapore di bagna cauda o come accidenti si scriverà.
È bello il nostro artista di strada e così, senza un perché, lo invitiamo a pranzo. È russo, ma capisce abbastanza l’italiano. Mi fa gli auguri, in italiano e in russo. Mangia e racconta, riservato e a suo agio. Ha una figlia della mia età, Olga –come la moglie di Cechov-, che vive negli Stati Uniti e che non vede da dieci anni.
Per sei mesi all’anno lavora al teatro di San Pietroburgo, tra marionette e spettacoli, e gli altri mesi va in giro per l’Europa, con Antonio e la sua musica.
- Sei attore?
- No, lui è attore- e indica Antonio
- È vestito come te
- Lui dice che sono io che mi vesto sempre come lui
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- Sei felice?
- A volte sono felice, a volte sono triste
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- Mi piacerebbe vedere
- Vieni a trovarmi a Pietroburgo, a giugno, quando sarò di nuovo lì.
Un indirizzo mail, un contatto per continuare a sentirsi e forse a incontrarsi, per caso o per magia.
3 gennaio 2007, portici di piazza Castello – Senegal
Capodanno ad Assisi. Un bel Capodanno, colori, aria nuova, amici ritrovati dopo qualche mese di lontananza e altri scoperti nel paese di Francesco, speranza e desiderio che l’anno nuovo sia nuovo davvero. Che qualcosa o qualcuno renda nuove tutte le cose.
E poi il ritorno. Il treno fa troppo pensare o troppo sognare, dipende. In ogni caso è pericoloso, sia che rimugini e perdi la tua realtà aggrovigliandoti in quella che ti mostra la mente, sia che ti trasferisci in un mondo sorridente o semplicemente più sano di quello con cui normalmente hai a che fare. Per me era la seconda opzione. Poi il ritorno, brusco come sempre.
Anche quest’anno, il mondo non è cambiato la notte tra il 31 dicembre e il 1° gennaio. Anche quest’anno, cediamo all’ipocrisia di augurarci buon anno nuovo, mentre dovremmo augurarci buon anno vecchio. I giorni e i minuti sono vecchi ancora, siamo vecchi noi. Ancora non è avvenuta la metamorfosi. L’uomo nuovo ancora non è nato dentro di noi.
Il 3 gennaio torno da non so quale commissione e cammino senza troppa fretta per Torino ancora natalizia. Mi piacciono le vetrine, soprattutto quelle di libri. Ma più ancora mi piacciono i libri di colori, suoni, sapori, odori e storie africane. Ricette africane, speziate, brucianti come la vita: il cibo è prezioso, devi sentirlo quando ti passa sul palato e poi giù nell’esofago, devi benedire il bruciore alla lingua e la bocca che scotta. Favole africane, vere e sanguigne, senza false morali e sdolcinati lieti fine, dove ogni cosa e ogni animale è dotato di spirito e portatore di sapienza. Fiabe africane, principesse esotiche e belle, storie di coraggio, avventura, dolcezza. E poi romanzi e racconti non più figli della tradizione ma dei viaggi, dei distacchi, delle difficoltà, dell’arrivo e magari del successo di chi lascia l’africa e poi a volte vi fa ritorno, come un guerriero vittorioso.
Mi piace comprare questi libri da un ragazzo senegalese che li vende come ambulante regolare. Ha un sorriso luminoso e mi sa consigliare bene. Insieme parliamo di quelli che ho letto, di ciò che mi ha commosso e di ciò che mi ha divertito.
A volte però io non posso comprare e lui vuole comunque vendere, è un tira-e-molla che si risolve solo se mi allontano augurandogli buona fortuna.
Eccolo, mi ha visto e già sorride.
- Ciao bellissima
- Ciao. Guarda, oggi, niente, magari domani, la prossima volta.
Ma lui dice di no e mi fa fermare
- Voglio solo farti gli auguri
E sorride. Mi dà la mano, e due baci. E mi dice buon anno. Che bello il tuo buon anno. Allora penso che forse è già un anno nuovo, se tu hai voglia di fermarmi solo per augurarmelo. Che sia un anno buono davvero, di quelli che alla fine non butti via con un boccale di birra ma custodisci dentro le pagine di un diario.
23 ottobre 2009, via Garibaldi – Romania
Giornata scura, da dimenticare. Di quelle che non ci dovrebbero essere sul calendario. Di quelle che la sera prima pensi “che bello sarebbe se mi addormentassi ora e mi svegliassi dopodomani”. Perché è così difficile cancellare un giorno? Se già sai che quel giorno dovrai passare dove non vuoi, dovrai sperimentare la generosità non ricambiata, la gioia degli altri indifferente alla tua sofferenza, perché non puoi cancellarlo?
Ci avevo pensato. Fossi ricchissima -mi ero detta- farei un bel gioco di fusi orari, mi sposterei di volo in volo facendo la fortuna di qualche compagnia aerea in modo da prolungare il più a lungo la mia permanenza nel 22 ottobre e poi via in senso contrario a rincorrere il 24. Certo, il fuso orario non avrebbe potuto impedirmi di passare almeno per un po’ in questo terribile 23, ma a quel punto sarei stata io completamente fusa e drogata da cambi di ora, posti, cieli, check-in, cinture di sicurezza, partenze, atterraggi, turbolenze e non me ne sarei accorta più di tanto.
Ma non sono ricchissima, e quindi è andato tutto secondo copione. Ovviamente speravo ci fosse un colpo di scena, ma non c’è stato. Neanche una frase piccolissima, una parola, uno spiraglio di apertura.
Ci sono giorni in cui le fate madrine prendono ferie e la mia il 23 ottobre è andata alle terme. O a Gardaland. Più probabile alle terme, però. Le montagne russe le fa già tutti giorni per stare dietro a me, credo che avesse proprio bisogno di rilassarsi tra un bagno turco e una sauna in cui far evaporare tutte le tossine, le mie, quelle che mi soffia via tutti i giorni.
Per fortuna tra poche ore il 23 ottobre sarà finito, penso mentre cavalco la mia bicicletta. O forse non penso proprio. Si sa che il vento sulla bici asciuga le lacrime come una carezza, ma solo a patto di non pensare. O meglio di stare al gioco e pensare solo al movimento delle gambe, ai piedi sui pedali, alla leggera pressione delle mani sul manubrio e alla strada che si spalanca davanti.
Statuario, in messo alla via pedonale, vestito di giallo e di verde, un naso rosso intreccia palloncini per bambini e coppiette. Un clown, un vero clown. Non uno che gioca a fare il clown per un arco definito di tempo, né uno che pretende di trasmettere l’essenza della vita nei suoi fiori e cagnolini colorati. No, uno che semplicemente sta lì, sorride, si offre, strizza l’occhio al bimbo che cammina per mano a una mamma frettolosa e guarda attento se passano vigili avidi di permessi. Nulla lo protegge e nulla lo affligge. È libero dentro e regala la sua libertà a chi cammina schiavo di negozi, serate, tacchi, borsette, firme e agende.
Mi fermo, non voglio un palloncino, vorrei che mi spiegasse come si fanno i colombi che tubano. O forse voglio solo parlargli.
- Sai che è segreto, non si dice
Sento l’accento e mi sorride il cuore.
- Sei rumeno?
È rumeno, e siamo già quasi amici. Viene da Varad, ha quattro figli e ogni tanto gira con i suoi colori. Io gli parlo di Sighet, dei Carpazi e di Cluj. Mi chiede se sono stata in altre città del suo Paese e rispondo di no, purtroppo. Ha gli occhi luminosi quando parla della sua terra e io sorrido nei ricordi condivisi. Ma forse lui ha sempre gli occhi luminosi, perché chi sceglie il rischio di un’arte vissuta nella gratuità deve imparare a vedere alla sola luce delle proprie iridi.
Gli insegno a fare l’ombrello con tre palloncini. Basta spiegarglielo a parole, senza sprecare fiato e plastica. Adesso siamo amici.
Lui gonfia un palloncino giallo e, passaggio dopo passaggio, mi prepara molto lentamente i colombi innamorati. Ci siamo addomesticati e mi regala il suo segreto. Mi servirà per alleggerire i prossimi 23 ottobre, miei e degli altri. Oggi mi colora il cielo.
Capisco che è già il momento di salutarci, lui deve lavorare. Adesso non ho lacrime da far asciugare al vento di bici e salgo sopra il sellino leggera e fresca.
Drum bun, pagliaccio Tin-tin.
mercoledì 18 novembre 2009
CORAGGIO....
POTETE INSERIRE I VOSTRI RACCONTI COME DEI POST NUOVI IN MODO CHE NON SIANO DEI SEMPLICI COMMENTI ......E QUINDI BEN VISIBILI A TUTTI .
CORAGGIO!!
giovedì 5 novembre 2009
lunedì 2 novembre 2009
VIAGGIATORI
le tracce ci sono anche se fan fatica a vedersi ….
I vostri testi sono al lavoro e tra breve arriveranno a tutti voi … per il momento vi presentiamo questo spazio virtuale dove elaborare il nostro percorso “di viaggio”.
Vi chiediamo di sviluppare un breve racconto di poche righe a partire da:
LA STRADA E I SUOI RUMORI MI HANNO INSEGNATO IL PASSARE DEL TEMPO,
FORSE ADDIRITTURA UN PO’ DI STORIA, INFATTI MI RICORDO DI QUANDO …