giovedì 24 dicembre 2009
lunedì 21 dicembre 2009
sabato 5 dicembre 2009
Attesa...
Visto che il tema del prossimo incontro è l’attesa e visto che nella bocca ho ancora, nonostante siano passati dei mesi, un retrogusto di palinka e brenza, ho pensato di lasciare qui cosa ho imparato dell’attesa in Romania. C’è poco della Romania, quello l’ho già raccontato tante volte e altre ancora ne parlerò, c’è più del prima e del dopo, dell’attesa e dell’asetta.
Eh già, perché se c’è un nome che dice quei sentimenti di curiosità, desiderio, speranza, paura, agitazione, gioia non ancora completa ma più scoppiettante del suo assoluto, ce ne deve essere uno anche per tutti i sentimenti di quando torni: la voglia di tornare e quella di non tornare, il desiderio di raccontare e di condividere, la mancanza di chi non è con te che si fa sentire, la nostalgia, il ricordo, la soddisfazione di aver realizzato un progetto chissà quanto a lungo sperato, la paura e la voglia che qualcosa non sia più come prima. E tanto altro. Anche questo è un po’ attesa, anche se non è proprio attesa, perché viene dopo e non prima. E allora io la chiamo asetta.
Allora cambio, ecco:
Cosa ho imparato dell’attesa e dell’asetta in Romania
Attesa è sognare un viaggio da quando hai 11 anni e doverlo rimandare senza sapere fino a quando. È vedere gli amici partire e pensare a quando sarà toccherà a te.
Attesa è inaspettatamente rendersi conto che il sogno diventa concreto, e capire che questo germoglio coltivato e nutrito da tanto tempo ha scelto il momento peggiore per sbocciare. O forse ha scelto il migliore: perché se partire non costa nulla, se non comporta di lasciare qualcosa che ti è caro e che ti mancherà fino alle lacrime, allora è fuggire.
Attesa è aspettare il treno fino a Mestre e poi la coincidenza fino a Trieste, arrotolare palloncini durante il viaggio mentre due bimbe cinesi ripetono allegre e squillanti “tenchiu tenchiu!” e infine cercare pazientemente qualcuno che ti indichi la strada per Villa Ara.
Attesa è aspettarsi una casa calda e accogliente, qualcuno che ti prepari e ti incoraggi ad affrontare la nuova avventura e ritrovarsi invece in un posto anonimo e freddo, almeno per chi come me è abituato alla alcantariniche braccia spalancate di Assisi. Ma attesa è anche scoprire i nuovi compagni di viaggio, volti e sogni diversi e speciali e sentirsi pian piano parte di un nuovo arcobaleno.
Attesa è un limbo in cui rimaniamo parcheggiati qualche ora lunga e non programmata tra sacchi a pelo e zaini, io stanca ormai di racconti di Romania vista con le pupille degli altri e affamata invece di toccare, annusare, assaggiare questo Paese riempendomene l’animo e gli occhi, i miei finalmente.
Attesa è il pulmann che arriva e attesa è salirci sopra, rendendomi conto solo allora di essere partita senza conoscere nulla e nessuno, fidandomi di un volantino appeso davanti a una chiesa.
Attesa è partire allo sbaraglio allegro e inconsapevole. Attendersi tutto, appunto, senza righe di paragone, come appena sbarcata da un altro pianeta.
Attesa è la concretezza della scomodità di un posto che sarà la letto, divano, sedia, tavolo per tante tante ore di seguito.
Attesa è guardare il paesaggio con gli occhi curiosi ma non golosi, occhi che guardano meravigliati il Danubio immenso e lunghissimo (il Po in confronto è un ruscelletto!!!), le luci di Budapest, il verde dei Carpazi, ma che non si affezionano a nessuna delle meraviglie incontrate.
Attesa è leggere ROMANIA e pensare che siamo arrivati. E scriverlo veloce in sms indegno del suo compito a chi è a tanti chilometri da te, ma questa è già asetta.
Attesa è aspettare che la burocrazia locale ci dia i permessi per prestare servizio. Attesa è una lunga inutile fila per una presunta e formale visita medica.
Attesa sono i tempi rumeni, più lenti, più rassegnati, di chi ha sofferto guerre e dittatura e le braccia e le gambe ancora indolenzite dalle catene che ha portato fino a poco tempo prima.
E c’è un momento in cui l’attesa si ferma, perché il tempo si ferma e rimane sospeso.
E incontri quegli occhi: quelli di Marianna che tira testate contro il muro e ha la cirrosi, quelli di Simona autistica e assetata d’amore, quelli di Marioca che sorride e balla apparentemente da sola ma in realtà con il suo angelo custode, quelli di Regina legata mani e piedi alla sedia, quelli di Andrei che gioca con la sua saliva e ce la offre generoso, quelli di David portento di muscoli in un corpo che non vuole crescere e concentrato di furbizia a cui non è mai stato insegnato a parlare.
Cosa attendono questi figli di Cernobyl?
Cosa si attendono da noi? Non siamo qui per strapparli all’inferno e portarli in una famiglia che li ami e si prenda cura di loro, una casa calda e pulita, giocattoli e colori.
E già egoismo essere qui e credere di amare, e ripartire tra due settimane.
Eppure loro ci attendono. Marianna attende le carezze che riceve rannicchiata sotto la sua coperta che odora di urina, Simona qualcuno che le prenda le mani, Marioca un cavaliere a cui sorridere e a causa del quale far saltare un ballo al suo angelo, Regina le bolle di sapone da far scoppiare con il naso, Andrei qualcuno che batta le mani con lui e che non abbia paura dei suoi schizzi di saliva, David un amico con cui fare la lotta e mille risate.
Ci attendono, con lo sguardo alla finestra e gli occhi su di noi quando poi entriamo, e sul volto qualcosa di simile a un sorriso ma più misterioso e malinconico.
Attesa è svegliarsi, e pensare a loro con affetto e fatica. Asetta è addormentarsi con i loro volti nel cuore.
Asetta è aspettare di tornare a casa, raccontare, condividere. Asetta interrotta come un brusco risveglio che ti sorprende perché le cose lasciate non si ritrovano mai come prima. Attesa presa in giro da un’asetta che cambia le carte in tavola e ti dice che nella vita il bello di attendere è che non sempre ciò che attendi avverrà. E te lo dice con il volto di clown che si prende gioco di te. Eppure ha ragione.
Perché l’attesa è speranza, non è certezza. Attesa/asetta è tempo perso, e perciò vissuto, perché non usato al fine di fare, produrre qualcosa ma scoperto in ogni attimo, con l’emozione, la fibrillazione di stare aspettando qualcosa di bellissimo e incerto.
Incertamente stupendo e stupendamente incerto.
È in Romania che ho letto per la prima volta questa frase di don Tonino Bello: “Attendere è l’infinito del verbo amare”
E poiché amare è gratis, anche l’attesa lo è e dunque è bella e grande anche quando ciò che attendi non si realizza. È il bello della speranza.
Asetta poi è anche desiderio di tornare, ora più forte che mai.
La revedea, Sighet!!!